Secondo lo specialista, il lavoro “apre una nuova arena nella ricerca sulla sclerosi multipla”, perché supporta l’ipotesi che nella patologia – contrariamente a quanto ritenuto finora, ossia che fosse il processo di demielinizzazione a causare la morte dei neuroni – la perdita neuronale possa avvenire anche in assenza di effettive lesioni alla materia bianca. “Queste informazioni evidenziano la necessità di terapie combinate per fermare la progressione della disabilità nei pazienti”, sottolinea Trapp che alla Cliveland Clinic presiede il Lerner Research Institute Department of Neurosciences.
Non solo. Dalla ricerca emerge anche il bisogno di lavorare a tecniche di risonanza magnetica più sensibili, perché quelle attuali non permettono di distinguere la Mcms dalla forma di malattia finora nota – quindi di diagnosticarla e di personalizzare i trattamenti – quando il paziente è ancora vivo. Lo studio è infatti frutto di analisi microscopiche post-mortem su tessuti di 100 malati di sclerosi multipla che hanno donato il cervello alla ricerca. In 12 sono state identificate le caratteristiche del sottotipo mielocorticale: neuroni persi, nessuna demielinizzazione.
Benché sia nei pazienti Mcms che in quelli Ms si osservassero le tipiche lesioni che la patologia provoca a livello midollare e della corteccia, solo nel gruppo Ms erano presenti alterazioni della sostanza bianca. E nonostante non mostrassero lesioni nella mielina, i pazienti Mcms presentavano comunque una riduzione della densità neuronale e dello spessore corticale. Per gli studiosi è la prova, appunto, che “contrariamente a quanto si pensasse la perdita dei neuroni può essere indipendente dalla demielinizzazione della sostanza bianca”.
“L’importanza di questa ricerca è duplice”, commenta Daniel Ontaneda, direttore clinico del programma di donazione del cervello presso il Mellen Center for Treatment and Research della Cleveland Clinic. Da un lato “l’idendificazione di questo nuovo sottotipo di sclerosi”, dall’altro il fatto che la scoperta “sottolinea la necessità di sviluppare strumenti più sensibili per diagnosticare e comprendere la malattia. Siamo fiduciosi – conclude – che i risultati porteranno a nuove strategie di trattamento su misura per i pazienti che vivono con diverse forme di Ms”.
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