Un lavoro che ha coinvolto istituti clinici italiani come il Laboratorio di neuropsichiatria della Fondazione Irccs Santa Lucia e l’ospedale Bambino Gesù di Roma, e gli statunitensi Johns Hopkins University e National Institute of Mental Health. La ricerca, assicurano gli studiosi, permetterà di definire trattamenti farmacologici personalizzati in campo psichiatrico, con particolare attenzione ai disturbi cognitivi. Lo studio, pubblicato su ‘Nature Communications’, è stato coordinato da Francesco Papaleo, responsabile del laboratorio di Genetics of Cognition dell’Iit a Genova, con il sostegno della Compagnia di San Paolo.
I disturbi cognitivi nella schizofrenia, e in altre patologie psichiatriche, rappresentano i sintomi più precoci e debilitanti per i pazienti. I farmaci ad oggi disponibili riescono a migliorare solo parzialmente le alterazioni cognitive e solo per un certo gruppo di persone. Inoltre, non esistono test biologici che permettono di predire quale sia il trattamento migliore per i diversi individui che presentano queste patologie. I ricercatori hanno lavorato per individuare variazioni genetiche che fossero correlabili sia alla risposta ai farmaci antipsicotici, sia a un comportamento cognitivo deficitario, a sua volta legato alla regolazione della dopamina nel cervello. La dopamina, infatti, è il neurotrasmettitore che nella corteccia cerebrale svolge un importante ruolo nelle funzioni cognitive e nello stesso tempo è il target di molti farmaci antipsicotici.
I ricercatori hanno quindi studiato i meccanismi cerebrali alla base dell’interazione tra gli antipsicotici e queste variazioni genetiche in soggetti sani, pazienti con schizofrenia e modelli murini, scoprendo che i farmaci hanno un’azione efficace nel potenziare i recettori dopaminergici nella corteccia prefrontale, ovvero nel ripristinare le performance cognitive superiori, solo nei portatori della variante genica di Dysbindin. Il team ha confermato e replicato la scoperta grazie all’accesso alla banca dati del trial clinico americano ‘Catie’, in cui è stato possibile osservare un grosso campione di soggetti con schizofrenia, provenienti da diversi centri clinici, i quali erano stati esposti al trattamento con un unico farmaco antipsicotico e seguiti cognitivamente e clinicamente per 18 mesi.
Il risultato del lavoro è importante perché introduce l’utilizzo concreto della genetica nello sviluppo di terapie personalizzate in psichiatria, così come avviene già in altre specialità come l’oncologia. Al lavoro hanno inoltre contribuito ricercatori delle Università di Padova e di Cagliari, e del Lieber Institute for Brain Development negli Usa.
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