Il parere positivo del Chmp si basa sui risultati dello studio clinico di fase III ‘Murano’, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di venetoclax in combinazione con rituximab rispetto a bendamustina in combinazione con rituximab. Dati che in giugno erano finiti sotto i riflettori a Stoccolma, durante il 23esimo Congresso della Società europea di ematologia Eha. “Per la prima volta nella storia della Llc – avevano evidenziato gli specialisti – si prospetta la possibilità di interrompere il trattamento dopo 2 anni, per riprenderlo solo se necessario con ottime probabilità che possa ancora funzionare”.
Murano, spiega Robin Foà, direttore del Centro di ematologia del Policlinico Umberto I, università Sapienza di Roma, “ha dimostrato come venetoclax utilizzato insieme all’immunoterapico rituximab sia significativamente più efficace rispetto al classico schema di chemio-immunoterapia bendamustina più rituximab per pazienti con Llc recidivati o refrattari. Tale associazione permette infatti di aumentare il numero di remissioni complete e il tasso di risposta complessivo, prolungando il tempo di sopravvivenza libero da malattia in tutte le categorie di pazienti, anche quelli con caratteristiche biologiche sfavorevoli. In conclusione, i risultati dello studio dimostrano come un regime terapeutico combinato ‘chemio-free’ riesca a ottenere risultati migliori della chemio-immunoterapia convenzionale”.
“Da quando, solo pochi anni fa, sono state introdotte nell’armamentario terapeutico della Llc le nuove molecole che permettono di evitare l’uso dei chemioterapici – ricorda infatti l’esperto – si era sempre ritenuto che quel trattamento non potesse essere sospeso se non per tossicità o recidiva della malattia”. Invece, “per la prima volta un regime terapeutico che include venetoclax combinato con un anticorpo monoclonale, quindi senza chemioterapia, può essere somministrato per un periodo fisso, ovvero per 2 anni, alla fine dei quali i pazienti possono interrompere l’assunzione del farmaco. Con questo nuovo trattamento i pazienti avranno la fondata speranza di ottenere che la patologia si riduca a livelli minimi tali da non essere rilevabile dagli attuali strumenti diagnostici. Non possiamo ancora affermare che questo risultato equivalga alla guarigione – precisa Montillo – ma sicuramente si tratta di un importante passo in avanti verso questa direzione”.
Il pronunciamento del Chmp viene accolto con favore dai malati. “L’associazione di venetoclax con rituximab – commenta Felice Bombaci, responsabile Ail pazienti, Associazione italiana contro leucemie, linfomi e mieloma Onlus – rappresenterà una nuova opzione terapeutica di cui presto speriamo possano beneficiare anche i pazienti italiani con Llc recidivante/refrattaria. Questo consentirà loro di vivere più a lungo senza la paura della progressione della malattia, e di interrompere la terapia dopo i 2 anni di trattamento. Si tratta di risultati impensabili fino a soltanto 10 anni fa”.
Se il parere positivo del Chmp verrà accolto dall’Ema, l’associazione venetoclax-rituximab potrebbe essere prescritta a una più vasta popolazione di pazienti con Llc recidivante/refrattaria, rispetto all’indicazione attualmente approvata nella Ue per venetoclax in monoterapia.
Nel corso dello studio Murano la malattia minima residua non rilevabile, ossia la presenza di meno di una cellula di Llc in 10.000 globuli bianchi rimasti nel sangue o nel midollo osseo in seguito al trattamento, veniva posto come un endpoint secondario valutato alla fine della terapia combinata (valutazione a 9 mesi). La Llc è un tumore ematologico a crescita lenta nel quale viene rilevato un numero eccessivo di linfociti immaturi, in prevalenza nel sangue e nel midollo osseo. La patologia rappresenta circa un terzo delle nuove diagnosi di leucemia nella Ue. Venetoclax è stato sviluppato da AbbVie e dalla svizzera Roche, viene commercializzato negli Stati Uniti congiuntamente da AbbVie e Genentech (gruppo Roche) e dalla sola AbbVie al di fuori degli Usa. Il farmaco funziona sbloccando una situazione molto frequente nella Llc, cioè l’inibizione della capacità di una cellula malata di imboccare la via della morte programmata o apoptosi.
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