Il lavoro, pubblicato sul ‘Journal of the American College of Cardiology’, secondo gli autori potrebbe aprire la strada a interventi terapeutici più efficaci contro la ‘sindrome del cuore stanco’. Una condizione sempre più diffusa nell’Italia che invecchia, in cui il cuore scompensato non riesce più a pompare il sangue come dovrebbe, quindi a far arrivare ossigeno e nutrienti a organi e tessuto.
“Negli ultimi anni – sottolinea Sebastiano Sciarretta, ricercatore del Neuromed e professore associato alla Sapienza di Roma, primo firmatario dell’articolo – il trealosio si sta rivelando molto più interessante del previsto, perché è risultato capace di proteggere le cellule da varie situazioni di stress. Una protezione che, nei nostri esperimenti, riesce in particolare a ridurre i danni di un infarto, limitando il fenomeno del rimodellamento cardiaco. Ricordiamo che l’insufficienza cardiaca colpisce 15 milioni di persone solo in Europa. Una vera minaccia per la salute dei cittadini e, non bisogna dimenticarlo, per i bilanci dei sistemi sanitari nazionali”.
“La capacità di attivare l’autofagia – commenta Sciarretta – sta ponendo il trealosio sotto i riflettori in molti campi della medicina, comprese alcune patologie neurologiche nelle quali proprio i meccanismi di ‘ripulitura’ delle cellule risultano difettosi”.
Per quanto riguarda specificamente l’insufficienza cardiaca, precisano Siarretta e Giacomo Frati, co-responsabile del Laboratorio di fisiopatologia vascolare dell’Irccs molisano e professore ordinario alla Sapienza, “siamo di fronte a una fase iniziale e saranno necessari altri studi clinici prima di ipotizzare l’utilizzo terapeutico su pazienti colpiti da infarto. Ma la prospettiva è estremamente interessante – assicurano – Il trealosio è infatti un composto naturale già presente in alcuni alimenti, che non ha mostrato effetti collaterali e che, essendo uno zucchero, potrebbe anche essere assunto dai pazienti come un normale dolcificante, ma con effetti benefici sul cuore”.
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