Mario Caiazzo
I gruppi criminali dell’area collinare di Napoli sono forse tra i primi a comprendere l’importanza di mettersi in affari entrando nel circuito della sanità. Forse è la presenza di diversi drappelli ospedalieri al Vomero e all’Arenella a dare l’incipit a un racket che nel corso degli anni ha portato a numerose inchieste della magistratura. I due quartieri, fino a qualche anno fa ritenuti «babbi» (il termine è siciliano e sta ad indicare territori non toccati dalla mafia), avevano insiti un filone d’oro che i clan avrebbero scoperto presto. Le cosche, una volta resesi conto della potenzialità dell’affare, non hanno perso tempo e hanno cominciato a «scavare», impossessandosi di ricavi prima di miliardi di lire e poi di milioni di euro. Imprese di pulizie, la gestione delle macchinette delle bibite, il servizio di lavanderia per il corredo ospedaliero (lenzuola, federe, ecc.), il trasporto e il successivo smaltimento dei rifiuti speciali.
L’indotto per capirci. Perché i gruppi Caiazzo e Cimmino egemoni al Vomero-Arenella avevano intuito che la tangente «una tantum» sugli appalti – magari per l’edificazione di un complesso – deve essere poi supportata dalla gestione continuata nel tempo. E allora, i clan decidono le imprese che devono fornire i servizi e impongono l’assunzione di propri accoliti in tali ditte; nulla cambia, neppure se quelli che «hanno messo a lavorare» non posseggono la minima competenza. Al lavoro alcuni di essi nemmeno ci andranno, tranne in casi limite quando dovranno farsi vedere per forza. Alla fine del mese percepiranno comunque uno stipendio. Dalle inchieste della magistratura emerge che i clan del Vomero hanno dovuto confrontarsi nella gestione anche con i Lo Russo di Miano.
Interessi su Monaldi, Santobono, Cotugno, Policlinico; le cosche in gioco cercano in ogni modo di spartirsi la torta ma non vogliono rinunciare alle loro miniere. Nel 2014, le cimici piazzate dalle forze dell’ordine negli uffici di un’azienda che ha sede a Fuorigrotta – aggiudicataria di appalti in tutt’Italia e secondo l’ipotesi accusatoria, controllata dai Lo Russo – intercettano diverse conversazioni. In particolare, una intercorsa tra amministratori e soci della società, rivela che c’è un accordo da trovare tra i clan della zona collinare e i «capitoni» di Miano. In ballo ci sono troppi affari e la situazione si deve risolvere al più presto. In base anche a quelle intercettazioni dodici persone a giugno del 2016 vengono raggiunte da una ordinanza di custodia cautelare.
(II puntata – continua)