martedì, 15 Ottobre , 24

Estate: in Pronto Soccorso fino a 30% di medici in meno per ferie e carenze

Un’estate ‘calda’ per i pronto soccorso. “Durante il periodo estivo nei 250 Dea, dipartimenti di emergenza e accettazione, di primo e secondo livello presenti in Italia si registra un 20-30% in meno di personale medico presente nelle strutture. Una situazione derivata dai piani ferie e dal fatto che in alcune regioni ci sono carenze croniche di personale nei pronto soccorso”. E’ la fotografia scattatada  Sandro Petrolati, coordinatore della Commissione emergenza Anaao-Assomed.

“E’ un dato che emerge dopo un confronto con alcune realtà del territorio, dal Nord al Sud, confermato anche dal presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) – aggiunge Petrolati – Ormai da qualche anno nel periodo dal 15 giugno al 15 settembre c’è carenza di personale medico, con conseguenze molte negative sul servizio. Non basta sostituire questi operatori con contratti atipici o a gettone, queste sono soluzioni non auspicabili per tamponare criticità nell’emergenza-urgenza”.

Il pericolo è che il caldo, il sovraffollamento dei pronto soccorso, la chiusura di alcuni reparti e il rinvio di molti interventi in autunno, misurare già annunciate da diverse Asl per carenza di personale, possano essere una ‘miccia’ per le aggressioni al personale sanitario. “In estate vengono al pettine alcuni nodi – elenca Petrolati – il nervosismo delle attese, l’eco mediatica di casi di malasanità e una aggressività sociale sempre più diffusa in molte realtà. In mezzo c’è il medico, senza nessuna difesa, che si ritrova a fronteggiare persone esasperate”.

“C’è la sensazione che più passano gli anni, più il problema aumenta – prosegue l’esperto – I motivi sono molteplici e spesso complessi: dalla riduzione dei posti letto nei reparti, al blocco del turnover e alla mancanza strutturale di medici perché i colleghi vanno in pensione. Ma è chiaro che, di fronte a situazioni al limite, ci troveremo nella necessità di mandare qualche paziente a casa. Anche perché ormai l’estate non è più periodo del calo fisiologico di accessi ai pronto soccorso, come qualcuno ancora pensa. Roma, Milano, Palermo, Napoli non si svuotano più ad agosto, e il Dea rimane l’unico presidio sanitario aperto. Con l’aumento dei pazienti anziani e cronici, stiamo diventando – lo dico con un paradosso – come i supermercati dove in estate l’anziano, lasciato solo da chi lo accudisce durante l’anno, cerca refrigerio e compagnia”.

Secondo Petrolati ci sono altri fronti aperti. “La medicina d’urgenza soffre di un problema: è una specializzazione giovanissima e ci sono pochi giovani usciti dalla scuole. Quelli che già lavorano sono una goccia nel mare del fabbisogno quotidiano. Così nei pronto soccorso ci sono medici che arrivano da altri reparti, Chirurgia o Medicina“. Un argomento caro anche alla Simeu, che da sempre si batte per incrementare la formazione dei medici di questa specialità, chiedendo ai ministeri compententi e alle Regioni di implementare le borse di studio della specializzazione in Medicina di emergenza-urgenza. 

“Il vero problema è quello di aver continuato con la politica della chiusura dei posti letto nei reparti, senza offrire una reale alternativa – chiarisce Petrolati – Quello che fa esplodere il pronto soccorso è la sua trasformazione in un luogo di ricovero, dove curare il paziente sulla barella, mentre dovrebbe andare invece in reparto. Non è quindi la pressione dovuta alla bassa intensità, come quella dei codici bianchi, a metterci in difficoltà, ma la pressione di chi ha bisogno di un ricovero e noi non possiamo farlo perché non ci sono i posti letto nel reparto. E’ chiaro che poi accadono i casi limite dei pazienti arrivati con il 118 che passano decine di ore in barella, con file di ambulanze che aspettano di riavere le lettighe fuori dal Dea”.

Alcune Regioni, per rispondere anche a questo tipo di situazioni, hanno lanciato le Case della salute. “Nel Lazio sono state un mezzo fallimento – chiosa il medico – con la loro apertura non abbiamo visto un ritorno positivo sul sovraffollamento dei dipartimenti di emergenza. Si deve intervenire sul fatto che oggi il pronto soccorso è diventato un luogo di ricovero, dove vengono somministrate terapie che il paziente dovrebbe fare nel reparto”. Mentre sul pagamento del ticket per le prestazioni non di urgenza al pronto soccorso, il coordinatore della Commissione emergenza Anaao-Assomed è piuttosto scettico: “Ci sono Regioni che lo fanno pagare con molta attenzione, perché pensano possa essere un deterrente per l’uso inappropriato del pronto soccorso. Altre non lo fanno con la stessa attenzione, preoccupate dei contenziosi. E spesso i codici bianchi vengono cambiati di colore, falsando i dati. Così – conclude – è del tutto inutile”.

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“E’ un dato che emerge dopo un confronto con alcune realtà del territorio, dal Nord al Sud, confermato anche dal presidente della Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu) – aggiunge Petrolati – Ormai da qualche anno nel periodo dal 15 giugno al 15 settembre c’è carenza di personale medico, con conseguenze molte negative sul servizio. Non basta sostituire questi operatori con contratti atipici o a gettone, queste sono soluzioni non auspicabili per tamponare criticità nell’emergenza-urgenza”.

Il pericolo è che il caldo, il sovraffollamento dei pronto soccorso, la chiusura di alcuni reparti e il rinvio di molti interventi in autunno, misurare già annunciate da diverse Asl per carenza di personale, possano essere una ‘miccia’ per le aggressioni al personale sanitario. “In estate vengono al pettine alcuni nodi – elenca Petrolati – il nervosismo delle attese, l’eco mediatica di casi di malasanità e una aggressività sociale sempre più diffusa in molte realtà. In mezzo c’è il medico, senza nessuna difesa, che si ritrova a fronteggiare persone esasperate”.

“C’è la sensazione che più passano gli anni, più il problema aumenta – prosegue l’esperto – I motivi sono molteplici e spesso complessi: dalla riduzione dei posti letto nei reparti, al blocco del turnover e alla mancanza strutturale di medici perché i colleghi vanno in pensione. Ma è chiaro che, di fronte a situazioni al limite, ci troveremo nella necessità di mandare qualche paziente a casa. Anche perché ormai l’estate non è più periodo del calo fisiologico di accessi ai pronto soccorso, come qualcuno ancora pensa. Roma, Milano, Palermo, Napoli non si svuotano più ad agosto, e il Dea rimane l’unico presidio sanitario aperto. Con l’aumento dei pazienti anziani e cronici, stiamo diventando – lo dico con un paradosso – come i supermercati dove in estate l’anziano, lasciato solo da chi lo accudisce durante l’anno, cerca refrigerio e compagnia”.

Secondo Petrolati ci sono altri fronti aperti. “La medicina d’urgenza soffre di un problema: è una specializzazione giovanissima e ci sono pochi giovani usciti dalla scuole. Quelli che già lavorano sono una goccia nel mare del fabbisogno quotidiano. Così nei pronto soccorso ci sono medici che arrivano da altri reparti, Chirurgia o Medicina“. Un argomento caro anche alla Simeu, che da sempre si batte per incrementare la formazione dei medici di questa specialità, chiedendo ai ministeri compententi e alle Regioni di implementare le borse di studio della specializzazione in Medicina di emergenza-urgenza. 

“Il vero problema è quello di aver continuato con la politica della chiusura dei posti letto nei reparti, senza offrire una reale alternativa – chiarisce Petrolati – Quello che fa esplodere il pronto soccorso è la sua trasformazione in un luogo di ricovero, dove curare il paziente sulla barella, mentre dovrebbe andare invece in reparto. Non è quindi la pressione dovuta alla bassa intensità, come quella dei codici bianchi, a metterci in difficoltà, ma la pressione di chi ha bisogno di un ricovero e noi non possiamo farlo perché non ci sono i posti letto nel reparto. E’ chiaro che poi accadono i casi limite dei pazienti arrivati con il 118 che passano decine di ore in barella, con file di ambulanze che aspettano di riavere le lettighe fuori dal Dea”.

Alcune Regioni, per rispondere anche a questo tipo di situazioni, hanno lanciato le Case della salute. “Nel Lazio sono state un mezzo fallimento – chiosa il medico – con la loro apertura non abbiamo visto un ritorno positivo sul sovraffollamento dei dipartimenti di emergenza. Si deve intervenire sul fatto che oggi il pronto soccorso è diventato un luogo di ricovero, dove vengono somministrate terapie che il paziente dovrebbe fare nel reparto”. Mentre sul pagamento del ticket per le prestazioni non di urgenza al pronto soccorso, il coordinatore della Commissione emergenza Anaao-Assomed è piuttosto scettico: “Ci sono Regioni che lo fanno pagare con molta attenzione, perché pensano possa essere un deterrente per l’uso inappropriato del pronto soccorso. Altre non lo fanno con la stessa attenzione, preoccupate dei contenziosi. E spesso i codici bianchi vengono cambiati di colore, falsando i dati. Così – conclude – è del tutto inutile”.

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