martedì, 15 Ottobre , 24

Antonio Marfella, l’oncologo che ha scelto Milano: “Non è sfiducia, ma l’attesa è troppo lunga”

Intervista pubblicata da Il Giornale
di Enza Cusmai
La «trasferta» sanitaria allo leo del medico del Sud aveva fatto discutere
Io, Antonio Martella, tossicologo, oncologo, dirigente medico e presidente dei medici per l’Ambiente, vi spiego perché sono in lista di attesa allo leo di Milano per farmi operare di cancro alla prostata.
La sua scelta ha sollevato polemiche tra i suoi colleghi dell’Istituto dei tumori Pascale di Napoli.
«Mi sono già scusato con tutti, sono stato frainteso e mi dispiace perché amo il mio ospedale più di quanto tema il mio cancro. La mia scelta potrebbe aver condizionato i pazienti».
Ma ci sono molti medici che migrano al Nord quando si ammalano?
«Parecchi… ma la situazione va valutata caso per caso, e siccome siamo cittadini italiani possiamo muoverci dove vogliamo».
Lei però è ormai considerato un pendolare sanitario.
«Ho le mie ragioni personali. Innanzitutto non voglio che nel mio reparto mi vedano gironzolare con il catetere, è una questione di opportunità. Tecnicamente, inoltre, devo essere sottoposto a un intervento in robotica che può essere eseguito solo da strutture che ne facciano alme no 250 l’anno. Numero impensabile al Sud, Pascale compreso. Ci sono pochi medici che se ne occupano quindi c’è da aspettare molto e io sto male».
Non ci dirà che un interno fa la stessa trafila di un normale paziente..
«Volendo no. Ma non voglio scorciatoie. Sarei un ipocrita, visto che mi sono battuto per tagliare le liste di attesa».
Sono molto lunghe a Napoli?
«Meno di prima. Ad agosto è stata emanata una rigida disposizione che blocca l’intramoenia se si superano i 30 giorni di attesa. E la cosa funziona».
A Milano quanto dovrà aspettare per essere operato?
«Più di tré mesi. E non è poco».
Dunque la sua scelta non è legata ad un discorso di qualità professionale?
«No. I nostri medici sono tra i migliori e a Milano andavo da un giovane chirurgo campano, che a 30 anni già lavora in eccellenza. Ad Acerra un altro giovane collega ora è primario di Neurochirurgia a Cambridge».
Perché i più bravi scappano?
«Ci sono problemi legati al blocco del turn over. A Napoli se ti va bene a 30 anni puoi solo fare la guardia medica. Noi non riusciamo a far funzionare al meglio le sale operatorie per carenza di medici e infermieri. A Napoli lavora in eccellenza un medico su quattro, a Milano lavora tut ta l’equipe».
È per questo che al Sud ci sono tanti casi di malasanità?
«La Campania è la regione che cura meglio con le risorse prò capite più basso ma è il sovraccarico che provoca distrazioni».
Quindi il problema è che ci sono troppi ammalati?
«Certo. Ci preoccupiamo solo di tutelare la prevenzione secondaria sanitaria dimenticando quella primaria, la tutela dell’ambiente».
La sua proposta per migliorare il sistema?
«Riprendo le parole del grande oncologo Gianni Bonadonna: per affrontare il nodo sanità bisogna affidarla ai medici ammalati perché non hanno interessi ne personali ne di carriera, ma puntano solo all’interesse del paziente».

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Intervista pubblicata da Il Giornale
di Enza Cusmai
La «trasferta» sanitaria allo leo del medico del Sud aveva fatto discutere
Io, Antonio Martella, tossicologo, oncologo, dirigente medico e presidente dei medici per l’Ambiente, vi spiego perché sono in lista di attesa allo leo di Milano per farmi operare di cancro alla prostata.
La sua scelta ha sollevato polemiche tra i suoi colleghi dell’Istituto dei tumori Pascale di Napoli.
«Mi sono già scusato con tutti, sono stato frainteso e mi dispiace perché amo il mio ospedale più di quanto tema il mio cancro. La mia scelta potrebbe aver condizionato i pazienti».
Ma ci sono molti medici che migrano al Nord quando si ammalano?
«Parecchi… ma la situazione va valutata caso per caso, e siccome siamo cittadini italiani possiamo muoverci dove vogliamo».
Lei però è ormai considerato un pendolare sanitario.
«Ho le mie ragioni personali. Innanzitutto non voglio che nel mio reparto mi vedano gironzolare con il catetere, è una questione di opportunità. Tecnicamente, inoltre, devo essere sottoposto a un intervento in robotica che può essere eseguito solo da strutture che ne facciano alme no 250 l’anno. Numero impensabile al Sud, Pascale compreso. Ci sono pochi medici che se ne occupano quindi c’è da aspettare molto e io sto male».
Non ci dirà che un interno fa la stessa trafila di un normale paziente..
«Volendo no. Ma non voglio scorciatoie. Sarei un ipocrita, visto che mi sono battuto per tagliare le liste di attesa».
Sono molto lunghe a Napoli?
«Meno di prima. Ad agosto è stata emanata una rigida disposizione che blocca l’intramoenia se si superano i 30 giorni di attesa. E la cosa funziona».
A Milano quanto dovrà aspettare per essere operato?
«Più di tré mesi. E non è poco».
Dunque la sua scelta non è legata ad un discorso di qualità professionale?
«No. I nostri medici sono tra i migliori e a Milano andavo da un giovane chirurgo campano, che a 30 anni già lavora in eccellenza. Ad Acerra un altro giovane collega ora è primario di Neurochirurgia a Cambridge».
Perché i più bravi scappano?
«Ci sono problemi legati al blocco del turn over. A Napoli se ti va bene a 30 anni puoi solo fare la guardia medica. Noi non riusciamo a far funzionare al meglio le sale operatorie per carenza di medici e infermieri. A Napoli lavora in eccellenza un medico su quattro, a Milano lavora tut ta l’equipe».
È per questo che al Sud ci sono tanti casi di malasanità?
«La Campania è la regione che cura meglio con le risorse prò capite più basso ma è il sovraccarico che provoca distrazioni».
Quindi il problema è che ci sono troppi ammalati?
«Certo. Ci preoccupiamo solo di tutelare la prevenzione secondaria sanitaria dimenticando quella primaria, la tutela dell’ambiente».
La sua proposta per migliorare il sistema?
«Riprendo le parole del grande oncologo Gianni Bonadonna: per affrontare il nodo sanità bisogna affidarla ai medici ammalati perché non hanno interessi ne personali ne di carriera, ma puntano solo all’interesse del paziente».

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