Mario Caiazzo
Nella scorsa puntata dell’inchiesta ci siamo occupati dell’aumento considerevole delle aggressioni registrate nei confronti degli operatori del ‘118’, all’inizio di quest’anno, a Napoli. Ben 12, sei al mese, considerando gennaio e febbraio. Se la situazione dovesse continuare su questa media, “alla fine dell’anno ci troveremmo davanti a più di 70 aggressioni, praticamente un aumento del 600% rispetto al 2017, quando se ne sono registrate in totale 12, una ogni trenta giorni”. A dichiararlo è un operatore che aderisce all’Associazione dei medici del 118. Ma da cosa è originato tutto questo accanimento nei confronti di infermieri e camici bianchi del servizio di soccorso?
“Innanzitutto dalla carenza di mezzi – ci spiega ancora il medico – e dalle chiamate improprie. Le ambulanze in servizio sull’intero territorio napoletano sono 16 (la 17esima è utilizzata sull’isola di Capri). E devono far fronte a un’utenza che tocca il milione di abitanti”. Per fare solo un esempio, a Palermo e in provincia (in totale, un milione e 266mila abitanti circa) si può fare affidamento su 50 autoambulanze. Detto ciò occupiamoci delle cosiddette chiamate improprie. Partiamo dal presupposto che a Napoli, pur se si richiede l’intervento per un paziente che ‘non sia in imminente pericolo di vita’ (emergenza identificata col codice rosso), in caso di chiamata dell’ambulanza del 118, non c’è alcun ticket da pagare. Nel resto d’Italia, invece, è imposto il pagamento di un ‘biglietto’ da 50 euro.
“Di solito – continua a spiegare il medico del ‘118’ – funziona così. Nel caso che si registri la necessità di far intervenire personale sanitario, la prima chiamata dovrebbe essere rivolta al medico di base oppure alla guardia medica. Naturalmente ci sono tempi di attesa per l’intervento del personale contattato. Spesso però capita, che se anche non ci sia una effettiva emergenza, venga chiamato il ‘118’ per l’invio di un mezzo di soccorso”.